Domenico Livoti
Opera 1^ classificata
Vallesegna
Tra rigogliose e prepotenti ortiche
e tra castagni di vecchio splendore
lembi stanchi di mura antiche
dell’abbandono mostrano il dolore.
O tu che vai per gli storici sentieri,
che portano in alto, al passo dello Spluga,
fermati un attimo con i tuoi pensieri
perché il tuo andare non sembri una fuga.
Lì vicino la Madonna di Gallivaggio
ti ispirerà una muta preghiera;
potrai riprendere poi il tuo viaggio
fino al tramonto, anzi più, fino alla sera.
Giulio Redaelli
Opera 2^ classificata
Dov‘è l’ora mia più cara
S’affolla di luce il cielo appena spiovuto
rapidi sbatter d’ali salutano il mio cammino
Ho accanto un vociare d’acqua
un refolo mi accarezza i capelli
s’intrufola fra mille pensieri
e del quotidiano vivere smemora l’ansia
Ecco il contrafforte del Groppera
è mano protesa all’orizzonte
quasi a scacciare le ultime nubi
come ricordi non voluti
Rallento il passo
Amo sentire il fragore inquieto dell’acqua
che in coraggiosa vertigine si tuffa
sulla roccia, la scompone, la frantuma
con caparbia pazienza
di chi del tempo non ha paura
Ancora su
per fatiche che gli occhi appagano
fra eterne libertà maiuscole
che mi restituiscono un sorriso di pace
Da una pietra arroventata, severa una lucertola
osserva il mio frugare l’immenso
e quel volo di falco che s’arrocca alla sua preda
È tardi
riprendo il cammino fra respiri di resina
mentre morbide ombre, lievi
franano sui passi del ritorno
nell’aria corre la voce di una campana
che inginocchia l’anima
Questa è l’ora mia più cara
prima che il cielo sposi la terra
nel buio abbraccio che annulla le distanze
Rosa Maria Corti
Opera 3^ classificata
Sole, vento e silenzio
Ricami lucenti di neve
adornano stamane
come diademi di ghiaccio
le maglie di una rete.
A volte basta poco.
Ma con l’arrivo del sole
il cristallo si è sciolto.
Non resta che il nero
di uno spazio vuoto.
Case annerite dal fumo
nel grigio della nebbia
come nidiate d’uova
sepolte nella neve.
A volte basta poco.
Ma con l’arrivo del vento
non un filo di fumo.
E senti tutto il vuoto
di tane abbandonate.
Preghiere sussurrate,
scricchiolii di vecchie assi
come passi nella notte
che scende nera e lieve.
A volte basta poco.
Ma con l’arrivo del giorno
si riaffaccia il silenzio.
E ti sovvieni che i morti
non possono fare rumore.
Nota
Sole, vento e silenzio mi hanno accompagnata in uno dei tanti villaggi di montagna ormai abbandonati ma che aspettano di essere riscoperti e, nel cristallo della solitudine, ho ritrovato invisibili presenze, l’aura di coloro che lì vissero.
Maria Grazia Girola
Opera 4^ classificata
Ciavéna “Regina dei transiti”
Passeggiar non è vano se la mente riconduce
le sensazioni lievi fatte di una montagna tra profumi e luce,
al susseguirsi di emozioni, ad un crepitio interiore,
che nasce incalzante eppur fuggente dentro al cuore.
Percorrendo il lungo fiume di una “Ciavéna” dei loggiati
mi ritornano alla mente sogni e pensieri dei giorni passati
e mentre il tempo volato mi riconduce alla nostra umana essenza,
mi accorgo che del nostro passaggio resta ai posteri la reminiscenza
nei sentieri del cuore, solo se vi è stato amor od artistico tracciato,
come traspare da cotal corti e giardini, angoli intatti di un tempo ormai sfumato.
Con passi leggeri mi perdo tra piazzette e contrade
e mi scorrono incontro dipinti su armoniche facciate,
di talentuòsi artisti, con soggetti geometrici o floreali
ed oliar fontane in pietra abbracciate da analoghi portali.
Nelle ere passate, con gli eventi storici, religiosi e le invasioni
sono state erette in “Ciavéna” orgogliose edificazioni,
mentre la Mera legata a filo stretto
alle sue mura si gonfiava di rispetto,
scorrendo tra rimembranze di regni doganali,
sprofondata nel suo letto anche tra case semplici e rurali.
Un raggio obliquo lambisce il campanile sfiorando gli spioventi tetti
ed accarezzando i piedi del monte che nel fiume si bagnano imperfetti,
evidenziandone il tragitto sinuoso tra rupi e verde boschivo accartocciato
e pur dal versante opposto abbracciato a case armoniche del passato;
il quadro suggestivo della “Regina dei transiti” lascia alla fantasia
il profumo di tigli ed il sussulto di una primavera soltanto mia,
mentre i monti sentinella gridano impavidi a tutti la loro forza
con la loro morfologia inerpicata ad anfiteatro, di verdeggiante scorza.
Maria Teresa Piccardo
Opera 5^ classificata
Vallespluga, Dea ispiratrice
Ritrarrei, se sapessi dipingere,
smeraldo dei tuoi monti divini,
verde dei boschi e i pascoli alpini
ove nivee nubi varie e leggere
tra lutei colori, son messaggere
in cori di Naiadi cristallini;
e i profondi riflessi argentini
dei laghi, venusti al par di Venere
divina. Dello Spluga le candide
vette che coronano rilucenti
la Valle ove regnano per dovizia
di armonìa le case tra le floride
attrattive delle cime ridenti
di Valle Spluga, sito di Letizia.
Laura Scaramellini
Opera 6^ classificata
Arpeggi di luce
Alla mia cara “Madonna d’Europa”, Valle Spluga
Arpeggi di luce
risuonano all’aurora in Valle Spluga
dorando melodiosi il Tuo virgineo velo.
Soavemente s’intrecciano
alla tua gravida corona
spirali d’eterno e d’infinito amore.
Nei tuoi occhi un fluir di riflessi,
echi di acque cristalline,
che scivolano feconde tra i muschi ed i licheni.
Pullulano gravide spore in collisione
e un tripudio di petali
vibrano col Tuo respiro.
Germogliano ai tuoi piedi
rododendri e genzianelle,
sgargianti botton d’oro penetrano colorando l’anima.
Esala la Tua essenza fra le resine dei larici,
fremono linfe e radici
in un rogo di profumi.
Dolcissima Madonna d’Europa, fra le Tue braccia aperte stringici,
e fa germogliare fra i pascoli del nostro Spirito
palpiti pulsanti d’amore.
E mentre Ti prego o Madre,
sciama un alveare nel mio cuore
impollinandomi l’anima che fiorisce d’emozioni…
Licia Roveri Galli
Opera 7^ classificata
Pietre di Gallivaggio
Le campane hanno cominciato a suonare,
diverse dallo scampanio dell’ormai lontana fine della guerra,
quando,
quella sera di primavera, mia madre diceva,
volevano essere gioiose,
ma erano invece di una tristezza infinita,
perché ogni rintocco scandiva il nome di mille caduti;
e hanno suonato per ore!
Ora è invece una festa che supera ogni descrizione,
perché sfidano le onde del tormento per abbracciarmi,
rose che penetrano l’armatura.
Le pietre impilate che hanno edificato il Santuario
trasudano pianti e preghiere
di chi si rifugia nel loro grembo
per avere sollievo all’acidità della vita.
Ma anche la bontà la fiducia e la speranza degli uomini
che hanno guardato negli occhi la morte.
Pietre che danno il senso della vita,
così dolce dopo l’angoscia e il dolore.
La pietà che mi viene dalla Roccia dell’Apparizione
possiede la mia anima fin nel profondo
e la volge ad essere più nobile ed alta.
Ed è tale lo sfolgorio di colori e di riflessi
che le parole non sono sufficienti
a manifestare la mia riconoscenza per l’incantesimo.
Visione di un’immensità e profondità
che danno alle mie parole e ai gesti
dignità di preghiera.
Carla Tedde
Opera 8^ classificata
Canzone di un emigrante
Imprestami pittore il tuo pennello
per delineare quelle pietre
rugose come il mio viso,
grigie come il fumo dei camini
e piccole piccole
come le mani dei miei nipoti.
Imprestami musico il tuo violino
per risvegliare suoni e voci
che si snodano tra i suoi sinuosi vicoli,
per risentire l’umido canto
del rivo e della fontana alla pieve,
per immergermi nei suoi sconfinati silenzi
e i familiari muggiti e i flebili belati.
Imprestami poeta la tua penna
per cantare il profumo del latte,
del mosto, del pane, del fieno e dei fiori,
per schiudere i suoi balconi fioriti
e le sue timide porte,
per invitarti ad entrare
e trarre coraggio e riposo prima dell’erta salita.
Imprestami Signore ancora tempo,
fa’ che io possa tornare
a rivedere un’ultima volta
quel pugno di case.
Poi, se lo vorrai,
nel suo amore e tra la sua pace
sarò pronto a seguirti.
Il Paradiso lassù
mi parrà più vicino.
Pieralda Albonico Comalini
Opera 9^ classificata
Le case sognano
(in ricordo dell’ antica emigrazione dalla Valle Spluga a Palermo)
Parlano le antiche case
con la voce del torrente,
voce solitaria,
aspettano il ritorno di amori veri
benedetti dal Padre in sempiterno.
La neve si scioglie piano,
gronda dai tetti in gocce tremule
trafitte dal sole che splende sul creato,
sulla montagna, sul borgo abbandonato.
Le case attendono raccolte in strettoie
il passaggio di una rondine.
Lei ritorna, la capinera,
al nido sotto la gronda
per un frullare di ali implumi,
per l’antico pigolio.
Passano giovani coppie e guardano
finestre senza vetri, muri silenti.
Forse sentono nel loro sangue
scorrere altro sangue da sorgenti lontane,
forse odorano il profumo del gelsomino
di città sul mare color vino.
Inconsapevoli, ridono e dimenticano.
Le case sognano. Crepita il camino,
nella stua la nonna culla l’ultimo nato.
Ritorna il padre dal Sud,
porta in dono il corallo rosso,
vezzo al collo sottile della sposa,
e un medaglione con santa Rosalia.
In un sentore di tempesta lontana
morde pane e baci.
Oltre i monti sfumano i ricordi,
la luna sul Suretta è bella,
Palermo, la felice città, è lontana
come la luna.
Monica Paggi
Opera 10^ classificata
Nonna Veronica
(Le estati nel fondovalle di Medesimo)
Seduta davanti
Alla cascina
Dalle ante verdi.
I capelli raccolti
E fra le mani
I ferri da calza.
Davanti il Groppiera
Con la Madonna in preghiera,
di fianco gli Andossi
e alle spalle la cima dello Spadolazzo
ancora innevata…
era il tempo degli inverni giusti
e dei mirtilli grandi tra gli arbusti.
Adesso riposi
In un luogo di quiete
E i monti tuoi cari
Sapranno che dall’alto
Potrai sempre carezzarne le cime.